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XII

Le capre.

Ne parlai con Matteo che mi disse: - Se prendi le capre devi assolutamente fare il formaggio, la vendita del solo latte non ti renderebbe mai a sufficienza.

- Ma non saprei neppure da dove cominciare!

- Non ti preoccupare, è una cosa molto semplice, l'importante è che si sappia in giro che usi soltanto latte delle tue capre; la vendita è certa e, circa la lavorazione, ti basterà vedere una sola volta come si fa! -

Allora presi la cosa in seria considerazione ed approfondii l’argomento:

Era l'America! Una capra della razza giusta avrebbe potuto produrre 800/1000 litri di latte l'anno (libro sulle capre), con 5/6 litri di latte si sarebbe ottenuto un kg. di formaggio (stessa fonte), il formaggio si vendeva a 15.000 lire al kg. (fonti locali varie).

I conti erano presto fatti: Considerando l'eventualità più pessimistica, 800 litri di latte avrebbero dato 133 kg. di formaggio, ossia lire 1.995.000. Venti capre avrebbero quindi prodotto, in un anno, L. 39.900.000 più i capretti, circa trenta (libro sulle capre), altri tre milioni.

E venti capre cosa avrebbero potuto mangiare? Il solito libro diceva non più di mille/millecinquecento lire al giorno ognuna.

Quindi, nella peggiore delle ipotesi, sarebbero costate 10.950.000. In conclusione, venti capre avrebbero reso circa trentadue milioni netti! Certamente ci sarebbero stati degli imprevisti... Qualche animale si sarebbe ammalato, qualcuno sarebbe morto, qualcun altro avrebbe prodotto meno del previsto...

Considerai, per prudenza, la metà del reddito ipotizzato: sedici milioni. Circa ottocentomila lire per capra; cento capre avrebbero dato almeno ottanta milioni e, volendo anche assumere un aiutante, sarebbero rimasti, comunque, oltre cinquanta milioni l'anno. Nella mia beata ingenuità non mi chiesi come mai gente come Agnelli, che pure ha il nome adatto, perde tempo a costruire automobili!

Decisi di tentare l'esperimento con venti capi e senza aiutanti. Detto fatto, mi misi in moto ed trovai, in provincia di Torino, gli animali della razza che cercavo (Alpina) e, mentre ne aspettavo la consegna, mi dedicai alla costruzione del ricovero.

Altra opera di Alta Ingegneria alla quale dedicai tutto me stesso per circa tre mesi, ma che mi diede enormi soddisfazioni. Pensate che, invece di volare via alla prima giornata di vento, rimase al suo posto, sempre più sbilenca, con le lamiere sempre più sbrindellate, ma eroicamente decisa a difendere dalle intemperie quelle povere bestie che, a loro volta, avevano imparato a disporsi in modo da evitare quasi tutti i rivoletti d'acqua che piovevano all'interno.

Avevo preso venti caprette giovani ed un maschio e, considerando che la gravidanza dura cinque mesi (stesso libro che era diventato la mia Bibbia), lasciai il maschio insieme con le femmine nel mese di giugno, in modo da avere i capretti pronti per Natale.

Questa mia esigenza però non venne recepita dal giovane capro, il quale mangiava, beveva, dormiva ma, quanto al resto, sembrava completamente disinteressato dalle venti giovani vergini che lo contornavano.

Inutile dire dell'apprensione generale, mia, della mia famiglia, dei parenti, degli amici, dei conoscenti! Quell'estate fui ossessionato dalla domanda: - E il caprone che fa?-

Nelle telefonate serali di mia moglie non mancava mai: - E il caprone? - Non vi racconto poi i consigli dei pratici locali, né le allusioni dei soliti amici spiritosi: "Tale padrone tale caprone".

Dopo circa un mese la povera bestia si era ormai guadagnata il soprannome del caso e, dopo due mesi, ero ormai deciso a sostituirlo per non perdere completamente l'annata.

Questo mio proposito però dovette giungergli all'orecchio perché, un bel giorno, corse da me Bianca trafelata:

- Papà, papà, il caprone ha tirato fuori un coso lungo lungo!

- Dio sia lodato! - esclamai; poi, per due giorni, rimasi bloccato al telefono per ricevere le congratulazioni degli amici e dei parenti.

E così, come Dio volle, il caprone fece il suo dovere e tutte le caprette rimasero incinte. Quando il tempo dei parti cominciò ad avvicinarsi, lessi e rilessi i capitoli sull'argomento e finalmente mi sentii pronto. Preparai una cassetta con i medicinali che potevano servire da un momento all'altro: Mercurocromo per disinfettare i cordoni ombelicali, forbici per tagliare i medesimi, supposte vaginali per favorire il secondamento, e così via.

Poi (come il Libro comandava) cominciai ad osservare le vagine varie: dovevano gonfiarsi, contrarsi, espellere prima una borsa piena di liquido, poi la seconda borsa contenente il capretto. Inutile dire che non notai niente di tutto questo.

Un giorno però vidi una capra andarsene in giro con una borsa di liquido appesa dietro: - finalmente ci siamo! - mi dissi. Le preparai un bel giaciglio di paglia pulita in un angolo riparato e attesi...

Dopo circa tre ore andai a prendere il Gran Libro per vedere quanto tempo dopo la prima borsa doveva venire fuori la seconda: - Subito dopo - Fu la sentenza.

- Allora c'è qualcosa che non va - ne dedussi. Presi ancora una volta il Libro e lessi: - Se qualcosa non va chiamare il veterinario -

Purtroppo era sabato pomeriggio e fu impossibile trovare un veterinario per tutto il fine settimana.

Il lunedì mattina, con l'aiuto di un collega capraio, rintracciai il veterinario al macello. Cortesemente venne subito: La capretta era sempre distesa come l'avevo lasciata, con la sua patetica borsa appesa dietro. - Non c'è dilatazione - sentenziò il luminare. Poi, ignorandomi completamente, diede tutte le istruzioni del caso al mio collega capraio: avrebbe dovuto fare una siringa per favorire la dilatazione, poi introdurre la mano ed aiutare la capretta a partorire.

Quindi si rivolse di nuovo a me per chiedermi l'onorario e se ne andò senza nemmeno fermarsi a bere il rituale bicchiere di grappa (che in verità non gli avevo offerto).

Il povero collega era rimasto ormai impelagato e, con una santa pazienza, venne con me in farmacia (venti km.), fece la siringa, attese inutilmente una dilatazione che non venne, cercò comunque di aiutare la povera bestia in qualche modo, mentre io - devo confessare la mia debolezza - guardavo da un'altra parte. Poi ad un tratto:

- Don Bicié - mi chiamò - Salute a nuie a crapa è morta!

- Pace all'anima sua! - risposi senza voltarmi per non mostrare gli occhi umidi, e intanto, attraverso il velo di stupide lacrime, vedevo un'altra capretta che, fregandosene di me, di lui e del veterinario, aveva appena messo al mondo due meravigliosi caprettini e, leccandoli rapidamente, li stava liberando dalla membrana che ancora parzialmente li avvolgeva.

Il mio collega era molto imbarazzato per la disavventura, cercava mille cause e spiegazioni, e ci volle tutto il mio impegno per fargli capire che non lo ritenevo responsabile del fatto. Infine, prima di andarsene, mi chiese se volevo essere aiutato ad "annegare" la capra morta. Gli spiegai piuttosto frettolosamente che non avevo bisogno di altro aiuto ma, quando se ne fu andato, rimasi a chiedermi che ragione ci fosse di annegare una capra già morta.

Il libro (torno a scriverlo con la l minuscola) non diceva niente in proposito, quindi decisi di non seguire questa barbara usanza e sotterrai la capra sotto un ulivo.

Quando venne a trovarmi Matteo gli raccontai della povera bestia morta:

- Ed ora dove sta, l'hai annegata? - Mi chiese subito. -

Ci risiamo! - pensai:

- No - risposi deciso - l'ho sotterrata!

- E perché io cosa ho detto? - disse il vecchio guardandomi con sufficienza.

E finalmente giunse l'intuizione geniale! Annegare, nel linguaggio di questa brava gente voleva dire sotterrare!

Gli altri parti seguirono abbastanza facilmente, qualche capretta dovetti un po’ aiutarla ma credo che, se non fossi stato presente, avrebbe comunque finito col farcela da sola.

Quando dovetti cominciare a mungere, mi resi conto che non sarei mai riuscito a farlo a mano: la cosa richiedeva una determinata azione delle dita ed io, dopo pochi minuti, rimanevo bloccato dalla stanchezza di muscoli mai usati. Inoltre erano animali socievolissimi e, come entravo nel recinto, mi si affollavano intorno colmandomi di affettuose quanto indesiderate attenzioni. E c’era anche da combattere col maschio che, geloso di tutta questa confidenza che mi prendevo con le sue femmine, interveniva per allontanarmi con vigorose cornate.

Così dovetti ancora una volta ricorrere al libro. Era la cosa più facile del mondo: esistevano le mungitrici elettriche e, soprattutto, esistevano delle griglie metalliche che si installavano davanti alla mangiatoia. Al mattino, quando distribuivo il mangime, le capre erano costrette ad infilare la testa in un’apposita aperture della griglia, bastava spostare una leva posta all’estremità del marchingegno, e gli spazi si riducevano, in modo che gli animali non potevano tirar fuori la testa. Continuavano a mangiare senza farci caso e si poteva lavorare senza intralci.

La spesa non era indifferente, ma era indispensabile. Mi misi immediatamente all’opera, acquistai tutto il necessario, e potei finalmente cominciare a vedere il latte.

I capretti li vendetti ad un macellaio del paese, che venne lui stesso a ritirarli e mi pagò in contanti il prezzo corrente. Una decina preferii tenerli per venderli successivamente a pastori della zona che molto spesso mi venivano a trovare, incuriositi dal mio strano sistema di allevamento e dalla particolare bellezza degli animali di questa razza alpina che, nella zona, era completamente sconosciuta.

Quando poi si convinsero che una sola delle mie capre produceva latte quanto tre delle loro, dovetti faticare per rifiutare le loro pressanti offerte di acquisto. Pensate che acquistarono i miei capretti al triplo del prezzo corrente!

Imparare a fare il formaggio non fu difficile e, come Matteo aveva previsto, i clienti non mancarono.

Fu così che, da "uomo libero", mi trasformai gradualmente in "prigioniero volontario": La mungitura andava fatta due volte al giorno, all’alba ed al tramonto. Tutte le sere bisognava fare il formaggio perché il latte, fino al giorno dopo, non si sarebbe conservato.

Per un ex cittadino non era facile saltare fuori dal letto all’alba, ma era assolutamente impossibile non farlo: le capre facevano una confusione infernale per due necessità primarie: mangiare ed essere munte.

Inoltre trovavo fuori della porta, puntualmente ogni mattina, un simpatico vecchietto con la sua bottiglietta da mezzo litro, che veniva a comprare il latte di capra, unico che la moglie poteva prendere.

Fortunatamente avevo una sveglia che non potevo mettere a tacere semplicemente premendo un tasto: Micia, la mia gattina, che ogni mattina si infilava sotto le coperte e mi graffiava i piedi fino a quando non saltavo giù dal letto. Le volevo troppo bene per farla volare attraverso la stanza, come ero tentato di fare.

Per me, che ero abituato a trattative per centinaia di milioni, gli incassi erano ridicoli, e litigare per cinquecento lire, a volte mi irritava. Ma cominciava, lentamente, a rientrare una piccola parte dei tanti soldi investiti, ed ero in grado di provare a mia moglie che non stavo solamente perdendo tempo.

Ormai che ero lì decisi di ampliare l’offerta dei miei prodotti ed introdussi anche polli ruspanti e uova, utilizzai l’incubatrice per produrre quaglie, e cominciai a pensare ad un possibile allevamento di animali da pelliccia.

   
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