XXIX

Pasquale

 Pasquale era un buon uomo. Anzi, per essere più preciso, era un uomo buono: rifuggiva da qualsiasi tipo di violenza e di sopraffazione.

Era il tipo, insomma, che non avrebbe mai fatto male ad una mosca. Lui, infatti, non usava nemmeno i soliti insetticidi: quando vedeva la sua casa invasa dalle mosche, socchiudeva le imposte ed aspettava pazientemente che le ospiti indesiderate andassero via in cerca di luce.

Figlio di un operaio tornitore, aveva imparato l'arte del padre e lavorava in una grande azienda del nord. Viveva in una casetta in periferia, ereditata alla morte dei genitori e, a circa quarant'anni, era ancora scapolo ma non escludeva la possibilità di trovare un giorno l'anima gemella.

La sua vita non era difficile ma questo non significava che alcune cose non lo disturbassero. C'era troppa ingordigia e troppa cattiveria al mondo: si costruiva dappertutto a scapito del paesaggio e dell'equilibrio idrogeologico, gli industriali sfruttavano indegnamente i propri dipendenti, la sfortunata gente che giungeva da paesi poveri e lontani era trattata alla stregua di bestie, i giudici sbattevano in galera e buttavano via la chiave chi rubava una mela, ed erano indulgenti e comprensivi con i potenti. Insomma era un vero schifo.

Fortunatamente, come sempre succede quando si tocca il fondo, le cose cominciarono timidamente a cambiare: piccole cose che però erano un chiaro segnale che qualcosa si muoveva nel senso giusto.

Nacquero i movimenti ambientalisti, i sindacati dei lavoratori cominciarono ad ottenere i primi risultati, si iniziò a parlare d'accoglienza agli immigrati, si vide anche qualche politico sotto processo.

Pasquale se ne rallegrò e cominciò a pensare che, in fondo, avrebbe anche potuto fare dei figli: non sarebbero vissuti troppo male.

Man mano che ottenevano qualche risultato i nuovi movimenti prendevano vigore: quando fu regolamentata la caccia egli, che non aveva mai visto un fucile da vicino, fu contento. Tanti innocui e simpatici uccellini avrebbero potuto volare felici. Poi si ottenne il divieto di usare le bombe per pescare e, in seguito, una severa regolamentazione della pesca si rivelò una valida protezione dell'ambiente marino. Furono istituite delle zone protette dove non si poteva nemmeno passare con la barca.

Anche allora Pasquale fu contento: amava il mare ed i suoi abitanti, anche se non disdegnava un bel piatto di novellame fritto al punto giusto.

I lavoratori si videro riconosciuti una serie di sacrosanti diritti e lasciarono la bicicletta per l'utilitaria.

Questi innegabili progressi raccolsero intorno ai loro sostenitori un largo consenso e, finalmente, il mondo dei buoni cominciò ad avere voce in capitolo fino a riscuotere, nel tempo, un largo consenso popolare e, infine, a vincere le elezioni politiche.

Dopo tanti anni di lotte, non sembrava vero ai nuovi eletti di poter realizzare tutte le cose che avevano sognato invano: era il trionfo della bontà.

Le opere megagalattiche programmate dalle precedenti amministrazioni furono annullate, a tutto vantaggio del paesaggio.

Prima i ricchi, poi le persone semplicemente agiate, e poi tutti gli altri, furono ferocemente tassati: i conti pubblici furono citati ad esempio da tutte le nazioni civili. Il "posto fisso" diventò un diritto e fu tassativamente vietato il lavoro precario od occasionale.

L'accoglienza agli immigrati fu il fiore all'occhiello della nuova classe dirigente: eliminati i centri d'accoglienza, si organizzarono servizi di linea che prelevavano gli aspiranti migranti nei loro paesi d'origine, tutto a spese dello stato. Una volta a destinazione, si assegnava ad ognuno una pensione ed una casa.

La giustizia poi diventò finalmente giusta: si processarono tutti i componenti dei governi precedenti, furono chiuse le carceri e incentivati i centri di riabilitazione, dove chi avesse voluto, sarebbe stato riabilitato in tre mesi.

Pasquale era felice: il nuovo governo era instancabile ed ogni giorno che il Signore mandava in terra, partoriva nuove leggi umanitarie.

Quando furono vietati gli allevamenti di animali a scopo di alimentazione, non collegò al provvedimento la sua bistecca al sangue o l'orata al forno, pensò solo: "Era ora di intervenire in difesa di queste povere bestie".

Poi, un brutto giorno, si trovò senza lavoro: l'azienda cui aveva dato vent'anni della sua vita fallì. Per nulla scoraggiato pensò: "Sono un lavoratore qualificato, con la mia specializzazione troverò subito un'altra occasione". Solo allora si accorse che moltissime aziende avevano chiuso e riaperto i battenti fuori dello Stato. Pasquale però non si scoraggiò, aveva voglia di lavorare e non si sarebbe fermato nemmeno davanti al più umile dei lavori.

Purtroppo quelli come lui erano tanti e lavoro non ce n'era: chi ne aveva avuto la possibilità era da tempo andato via dal paese. Le case dei ricchi c'erano ancora, ma desolatamente vuote e fatiscenti.

Non potendo più pagare l'ICI sulla sua casetta ne fu sfrattato con procedura d'urgenza: nuovi immigrati arrivavano e bisognava sistemarli.

Pasquale ci restò male ma si consolò: "Questa povera gente ha più bisogno di me…"

Si sistemò sotto un ponte, accolto affettuosamente da una comunità di barboni buoni come lui. Il cibo fortunatamente non mancava: aveva imparato a fare come gli altri, catturava i grossi ratti che abbondavano dappertutto e li arrostiva su un fuocherello di spazzatura acceso accanto al fiume. Gli dispiaceva dover uccidere quelle povere bestie, ma non aveva scelta.

Una sera, era particolarmente contento perché era riuscito a rimediare un paio di scarpe quasi nuove togliendole ad un cadavere, era accanto al fuoco pregustandosi il succulento topo che arrostiva lentamente, quando avvertì un violento colpo alla testa ed intravide un grosso uomo di colore (non avrebbe mai detto negro) che mormorava: "Mi dispiace amico…"

Il suo ultimo pensiero fu: "Qualcosa non ho capito…"

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