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L'orto

Eravamo all’inizio della primavera e pensai che non bisognava por tempo in mezzo. Ero molto ottimista sui risultati perché pensavo che il terreno non era stato sfruttato per decenni, quindi avrebbe dato buoni frutti, soprattutto ecologici non avendo bisogno di fertilizzanti, ed ero fermamente deciso a non usare insetticidi ed erbicidi vari.

Scelta la zona (perfettamente d’accordo con quella indicata da Matteo) mi misi al lavoro con l’aratro. La prima scoperta fu che non era tutto oro: vennero infatti in superficie molte grosse pietre e il compito risultò più gravoso di come si era presentato a prima vista: ogni tanto mi dovevo fermare per raccoglierle ed adunarle in piccoli mucchi che, in un secondo momento, dovetti portar via, utilizzando per la prima volta il rimorchio del trattore.

Poi, seguendo le istruzioni dell’apposito libro, lasciai il terreno ad arieggiarsi per qualche giorno, prima di ripassare con la fresatrice. Quando scavai i solchi Matteo, seduto su di una pietra, osservava senza parlare.

Per garantirmi la possibilità di irrigare il futuro orto, portai una linea elettrica dalla casa al pozzo e comprai una pompa sommersa. Si trattava di un cilindro molto pesante lungo una cinquantina di centimetri e largo quindici che, collegato con un cavo elettrico ed immerso nell’acqua, la mandava in superficie attraverso un capace tubo. Poi andai a comprare le piantine.

Al vivaio dovettero pensare che ero un nuovo magnate dell’orti-coltura: comprai una quantità industriale di piantine di pomodori, melanzane, zucchine, e molti altri ortaggi di stagione. Non dimenticai nemmeno zucche, meloni ed angurie.

Nei giorni successivi, munito di una volontà certamente degna di miglior causa, sistemai tutte (o quasi) le piantine nei buchi, praticati con uno strumentino acuminato inventato per l’occasione. Innaffiai abbondantemente e rimasi ad ammirare la mia opera.

Matteo, seduto su di una pietra, osservava senza parlare.

Man mano che le piantine crescevano, cominciai a sistemare i "tutori", dei sostegni fatti con piccole canne ai quali assicurarle. La maggior parte del tempo però lo passavo ad estirpare le erbacce che crescevano nei solchi.

Una mattina, aveva piovuto tutta la notte, mi affrettai al mio orto ansioso di vedere i benefici tratti dalle piante da tanta benefica acqua. Rimasi di pietra: l’acqua, scorrendo nei solchi aveva travolto tutto il mio lavoro. Matteo, seduto su una pietra, finalmente parlò:

- E si capisce! Hai scavato i solchi nel senso sbagliato! Avrebbero dovuto essere perpendicolari alla pendenza del terreno, tu li hai fatti paralleli... L’acqua ha formato tanti piccoli torrenti!

- Ma come Matteo, me lo dici adesso? Non potevi dirmelo quando hai visto come li scavavo?

- E che ne so! Tu, coi tuoi libri, sapevi già tutto.

Evidentemente, non chiedendo il suo aiuto, lo avevo offeso e lui, seduto sulla pietra, aveva aspettato di veder passare il mio cadavere.

Comunque, passò il resto della giornata aiutandomi a salvare il salvabile e, alla sera, era ritornato in piedi circa un terzo dell’orto.  Fortunatamente, grazie alle mie manie di grandezza, avevo messo tante di quelle piantine, che quelle che restavano formavano ancora un orticello abbastanza soddisfacente.

Quando le piante furono cresciute da richiedere più acqua, venne fuori l’uomo del ventesimo secolo che era in me ed installai quattro "lance" collegate al pozzo che riuscivano ad irrigare a pioggia tutta la superficie dell’orto: io, dall’alto, inserivo la corrente e mi beavo ad ammirare la mia opera.

   
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