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IX

Contadino

Fortunatamente avevo fatto "un buon matrimonio": mia moglie era ed è un’amministratrice di prim’ordine e non aveva problemi a mandare avanti la famiglia col suo stipendio di insegnante ed un quasi insignificante contributo da parte mia.

Quando le comunicai l’intenzione di provare a trarre i mezzi di sostentamento dal mio lavoro manuale in campagna, espresse i suoi dubbi ma non contrastò quest’idea che lei riteneva, giustamente, pazzesca. Pretese solo che installassi un telefono, perché voleva essere in grado di contattarmi senza problemi.

Naturalmente lei ed i bambini sarebbero rimasti a Napoli, senza escludere la possibilità di trasferirsi, se e quando il mio progetto avesse dato i risultati sperati.

Ora so che era una pietosa bugia: vedeva chiaramente che ero sull’orlo di un collasso nervoso e riteneva che un po’ di vita all’aria aperta non avrebbe potuto che farmi bene.

In quel periodo chiedere un telefono in aperta campagna non era cosa da poco: alla società telefonica mi dissero che la cabina della zona era già sovraccarica e che, almeno per il momento, non erano disponibili nuovi numeri.

Allora ancora non esistevano i cellulari, ma erano in commercio i primi portatili senza fili che funzionavano ad onde radio. Ne comprai uno potentissimo (dieci chilometri di portata) ed andai a trovare Matteo. Gli spiegai il mio problema e gli proposi di collegare l’aggeggio al suo telefono: naturalmente mi sarei fatto carico io dell’intero costo della bolletta telefonica.

Egli non ebbe niente in contrario e, detto fatto, mi arrampicai sul suo tetto e, con l’aiuto del santo protettore degli incoscienti e tanta fortuna, installai l’antenna. Ora potevo usare il mio telefono nelraggio di dieci chilometri dalla casa di Matteo e, in più, potevo anche usufruire di un interfono per comunicare con lui.

Tornato a casa, caricai la macchina con pochi effetti personali e tutti il libri e le riviste sulla mia nuova attività e mi trasferii in campagna.

I primi giorni non furono il Paradiso che mi aspettavo: Ero vissuto cinquant’anni nella confusione, nella folla e nel rumore della città, ritrovarmi completamente solo mi metteva addosso una certa inquietudine. Inoltre, l’abitudine presa negli ultimi tempi a muovermi sempre con prudenza guardandomi alle spalle, tardava ad abbandonarmi, tanto che continuavo, all’interno della mia proprietà, a girare armato!

La sera poi, nel buio assoluto, in un silenzio popolato da suoni per me del tutto nuovi, non ero per niente tranquillo e, se sentivo qualche rumore all’esterno, spegnevo tutte le luci prima di affacciarmi nel vano della porta con il revolver in pugno! Solo quando vedevo Peppa e Camilla tranquillamente distese sotto il portico, rientravo in casa momentaneamente rassicurato.

Prima di iniziare qualsiasi attività, presi l’abitudine di andarmene un po’ in giro per il paese a parlare con la gente: volevo capire come vivevano, quali erano le attività a cui si dedicavano e da cui traevano il loro reddito. Inizialmente li trovai schivi e riservati: mi consideravano un villeggiante fuori stagione piuttosto impiccione e mi trattavano di conseguenza. Il fatto poi di essere solo, senza moglie, alimentava ancora di più la loro naturale diffidenza. Qualcosa però la appresi lo stesso: in quel paese agricolo, nessuno viveva di agricoltura.

I pochi giovani erano commercianti o operai pendolari. I molti vecchi erano pensionati. C’erano solo un paio di agricoltori, ma presto mi resi conto che con l’agricoltura non avevano nulla a che vedere. Non facevano altro che tenersi informati sui finanziamenti e sugli incentivi statali e impiantare colture finanziate per sostituirle subito con altre incentivate successivamente. Insomma, vivevano di incentivi.

Presto mi resi conto che non avevo nessuna possibilità di vivere facendo il contadino, inoltre la terra era troppo poca per qualsiasi cosa volessi coltivare.

Era il tempo in cui si cominciavano a vedere le prime aziende agrituristiche ma, da solo e con mezza casa, erano fuori discussione. L’unica possibilità che mi venne in mente fu l’allevamento. Ma un allevamento intelligente, fatto di piccoli animali e di qualità pregiate.

Mi rituffai quindi nei miei studi di fattibilità e, nel tempo libero, decisi di farmi un orto.

Matteo intanto aveva preso l’abitudine di venirmi a trovare tutte le mattine, ci facevamo un caffè espresso con una bella macchina, regalo del mio ex commercialista, e ci intrattenevamo una mezza oretta in conversazione:

- L’idea dell’orto è buona – mi disse – hai la zona adatta nei pressi del secondo pozzo.

   
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