VII

Matteo.

Una volta entratone legittimamente in possesso, il piccolo fondo diventò la meta abituale di tutte le mie fughe in moto. Lasciavo il mezzo sulla strada e mi avventuravo in lunghe e disagevoli passeggiate alla scoperta di tutti gli angoli più nascosti della mia nuova proprietà.

Mi accorsi solo alla terza o quarta visita che, nonostante fosse in declivio, il terreno era tutto lavorabile agevolmente in quanto erano state ricavate una serie di terrazze sorrette da solidi muri a secco. La parte che dalla casa saliva fino alla strada era un po’ più ripida e vi prevalevano ulivi e mandorli. Nella zona invece che dalla casa portava al confine di destra, gli ulivi erano più radi e si alternavano a viti ed alberi da frutta (ciliegi, peri ed un albicocco).

 Discendendo lungo il confine laterale, trovai ancora una zona dove, agli ulivi, prevalevano meli, peri, ed altri filari di vite. Notai con meraviglia che le piante non erano in cattivo stato e, addirittura, pendevano ancora dei grappoli d’uva protetti contro gli insetti da calze di nylon: qualcuno nella mia terra si stava facendo l’uva passa! La zona tra la casa ed il confine inferiore era quasi tutta pianeggiante con gli alberi abbastanza radi: evidentemente, ai suoi tempi, era stata destinata a seminativo. In fondo scoprii un noce gigantesco ed alcuni aranci.

Alle prime visite non riuscii nemmeno a localizzare i pozzi, tanto erano ben nascosti dalla vegetazione. Un giorno, risalendo il sentiero per raggiungere la moto, vidi una capra che pascolava beatamente legata ad un albero. Decisi quindi che era ora di approfondire la conoscenza con i miei vicini, prima l’uva, poi la capra... Non volevo rompere le scatole a nessuno, ma era giusto che sapessero che quel podere aveva un proprietario!

Alla destra della mia proprietà, sempre guardando dall’alto, c’era una casetta appena un po’ arretrata rispetto alla strada: Mi ci diressi deciso ad affrontare il primo dei vicini. La porta però era chiusa e, al mio ripetuto bussare, nessuno rispose. Rimandai la visita alla volta successiva e rimontai in moto. Avevo fatto solo pochi metri, quando vidi un vecchietto che veniva su per la salita e riconobbi una della persone alle quali avevo fatto firmare la famosa dichiarazione di rinuncia all’acquisto. Mi accostai con la moto e mi fermai al suo fianco: Lo spaventai a morte. Vedendomi col casco e col giubbotto di pelle, il pover’uomo aveva temuto una rapina. Quando alla fine mi ebbe riconosciuto e si riprese dallo spavento, mi invitò in casa (proprio quella casetta a cui avevo bussato invano) e mi preparò un caffè in una piccola cucina molto pulita ed in ordine, dove un micragnoso fuocherello bruciava nel camino. Ci sedemmo su due sedie impagliate e cominciammo a conoscerci.

In verità era più lui a conoscere me che io lui: parlava un dialetto talmente stretto che riuscivo appena ad indovinare una parola ogni dieci. Comunque dedussi che si chiamava Matteo, che viveva solo (i figli erano emigrati) ed era pensionato. Alla terra dedicava appena il tempo necessario a tenerla in ordine e passava la maggior parte delle ore libere a guardare lo sfrigolio di un grosso televisore in bianco e nero che troneggiava in un angolo della cucina. Io feci il povero cittadino sprovveduto e gli chiesi di consigliarmi su cosa fare del mio terreno e fui subito adottato. Mi promise che alla prossima visita mi avrebbe accompagnato a conoscere la mia proprietà e ci salutammo da buoni amici.

La volta successiva passai a prendere Matteo ed effettuammo insieme la "visita guidata". Mi portò a vedere i pozzi: uno era ad una cinquantina di metri dalla casa, un altro era verso il confine di destra, all’inizio della zona a frutteto, e l’ultimo nella zona pianeggiante in basso. Mi assicurò che erano tutti molto efficienti e sufficienti per dare acqua alla casa ed irrigare tutto il terreno. L’acqua era anche ottima da bere. Certo avrebbero dovuto essere puliti, ma non si trovava più nessuno disposto a scendere in fondo ad un pozzo per fare questo lavoro.

Approfittai per chiedergli dell’uva con le calze e della capra e mi disse che il colpevole era un vecchiaccio cattivo che abitava nella casa dall’altra parte della strada. La mia terra era stata, in passato, di un suo nipote e lui continuava a farla da padrone. Mi assicurò che gli avrebbe parlato lui. Io volevo andarlo a conoscere subito ma me ne dissuase assicurandomi che era un vecchio scorbutico che non mi avrebbe fatto una buona accoglienza. Solo molto tempo dopo scoprii che era una persona dolcissima. Il buon Matteo ce l’aveva con lui per non so quale vecchia faccenda. Dopo averlo conosciuto venni a sapere che Matteo, approfittando della sua amicizia con me, si era spacciato per custode del mio fondo e gli aveva ingiunto di non metterci più piede. Io, all’oscuro di tutto, non immaginavo che fosse risentito: quando lo incontravo lo salutavo cordialmente ed il suo modo scontroso di rispondere, non faceva che confermare quanto mi era stato raccontato di lui.

Prima di ripartire mi fermai a prendere il caffè con Matteo e gli chiesi notizie sugli usi e le abitudini dei locali, incominciando a fare l’orecchio al dialetto. Tra le altre cose mi disse che la gente del posto era pigra, che lui aspettava da mesi un idraulico per il discarico in bagno che scorreva rumorosamente tenendolo sveglio la notte.

E’ straordinario come una persona che ha passato una vita in campagna facendo mille lavori, non fosse in grado di sistemare un galleggiante. In due minuti glielo misi a posto ed avanzai di un punto nella sua considerazione. Quando andai via mi salutò calorosamente assicurandomi che potevo stare a pensiero tranquillo che, alla mia proprietà, avrebbe badato lui.

L’autunno e l’inverno passarono senza altre novità.

Io che di agricoltura non sapevo assolutamente niente, cominciai a tentare di capire qualcosa e mi abbonai ad una rivista specializzata. Nel frattempo il buon Matteo, fedele al suo compito di guardiano, si raccolse tutto quello che c’era da raccogliere, alla mia salute.

In primavera Matteo mi disse: - Guarda che, con tutta quest’erba, il pericolo di incendi è grande. I vicini si lamentano. Se dovesse succedere qualcosa se la prenderebbero con te.

- E cosa si può fare?

- Bisogna tagliarla... Ci vuole un trattore.

- E dove lo trovo?

- Non ti preoccupare, c’è un bravo ragazzo in paese... Ti ci accompagno io. -

Il bravo ragazzo si mise subito a disposizione e: - Si può fare – mi disse – ci vorranno due o tre giorni. Se vuoi, per l’amicizia di Matteo, posso cominciare anche subito.

- Va bene... Ma quanto mi costerà?

- Non ti preoccupare, ti faccio un prezzo da amico: un milione.

- Azz…! Un milione?

- E’ veramente un trattamento speciale: considera l’ammortamento della macchina, con quello che costa... Il consumo di gasolio... Le mie giornate di lavoro...

Era un fulmine a ciel sereno, ma che potevo fare? Potevo mai rischiare un incendio? Mi rassegnai all’inevitabile e diedi il via al lavoro.

Dopo qualche giorno il trattorista venne con un camion dal quale scaricò un grosso trattore cingolato e si mise al lavoro.

In verità, dopo l’intervento il mio regno cambiò completamente aspetto: una volta ripulita, ebbi finalmente modo di muovermi liberamente sulla proprietà e di scoprirne tutti gli aspetti positivi.

Mi resi conto che quella che pareva una foresta era un bel podere a grandi terrazze e potei finalmente constatare la ricchezza e la varietà di piante che vi crescevano. Gli ulivi erano circa duecentoquaranta (l’ultimo raccolto se lo era fatto Matteo), i mandorli una sessantina, una quarantina di peri, qualche pesco, una decina di meli, un discreto vigneto, una quindicina di aranci, senza contare i fichi che spuntavano un po’ dappertutto, il grande noce, il gelso accanto alla casa e l’unico albero di saporitissime albicocche che il trattore aveva agganciato alle radici troppo in superficie e portato via.

Le due file di querce sui confini avrebbero potuto dar legna per cento camini e, dulcis in fundo, la siepe di fichi d’india dei quali ero e sono ghiottissimo!

Da quel momento ogni ora libera la trascorsi in campagna.

Cominciai ad acquistare asce, falci, falcetti, roncole, cesoie zappe, badili e in una delle stalle mi organizzai una specie di depositoofficina.

E intanto la mia biblioteca si arricchiva di innumerevoli trattati di agronomia e di riviste del settore. Mi convinsi che, se volevo veramente fare qualcosa, mi dovevo attrezzare per farlo da solo: non ero assolutamente in grado di assumere mano d’opera né di controllarla.

Intanto l’erba cresceva e pensavo che, per agosto, avrei dovuto spendere un altro milione per il trattorista. Questo benedetto terreno richiedeva due milioni l’anno solo per tenerlo al sicuro dagli incendi!

Fatti un po’ di conti mi misi alla ricerca di un piccolo trattore d’occasione: avrei fatto da me il lavoro necessario e non avrei buttato soldi a vuoto.

Fortunatamente trovai quasi subito un buon affare: un trattorino a quattro ruote motrici con una serie infinita di accessori: l’aratro, la fresatrice, la pompa con relativo contenitore per l’irrorazione, la falciatrice ed uno spazioso rimorchio. Lo acquistai per un prezzo abbastanza buono: - in quattro cinque anni – pensai - si sarà ripagato solo facendo il lavoro che avrebbe dovuto fare il trattorista antincendio!

Quando finalmente lo ebbi a casa, trascorsi una notte intera a studiarlo ed a smontare e rimontare tutti gli accessori. Dal giorno successivo il trattore ed io diventammo inseparabili, oltre che per il suo normale lavoro, lo usavo per spostarmi sul fondo, ci salivo sopra per raggiungere i punti alti degli alberi, usavo il suo potente motore per qualunque lavoro richiedesse troppa forza per poterlo fare a mano. Quando poi vi attaccavo la falciatrice mi sentivo meglio di Buffalo Bill sul suo cavallo: a torso nudo, con un cappellaccio per ripararmi dal sole, mi inebriavo al profumo dell’erba appena tagliata. E non vi dico l’emozione se capitava di vedere, all’improvviso, una lepre che, perduto il suo nascondiglio nell’erba, scappava spaventata.

   
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